Lo Stato innovatore

Lo diciamo da sempre: è sbagliata la contrapposizione pubblico-privato. Così come è sbagliato ritenere che il privato sia migliore del pubblico. Innanzitutto, perché il privato fa un altro mestiere che non quello del perseguimento del bene comune; inoltre, perché anche il privato non è esente da corruzioni e scandali, sia in ambito profit che no profit.
È vero: la parola “pubblico” ha perso ogni connotato positivo, diventando sinonimo di spreco, inefficienza, corruzione. Ciò nonostante, il pubblico non può essere sostituito dal privato.
Lo spiega bene l’economista Mariana Mazzucato, professoressa di Economia dell’Innovazione alla University of Sussex (Regno Unito), nel suo libro “The entrepreneurial State”, con dati illuminanti :
“I processi di innovazione in qualunque settore si caratterizzano per l’indispensabile orizzonte temporale lungo e per l’alto rischio di fallimento (…) È per questo che bisogna essere “un po’ matti” per impegnarsi nell’innovazione: perché spesso costa più di quel che frutta e, quindi, se ci si basasse sulla tradizionale analisi costi-benefici, neanche si comincerebbe.” Ma quando Steve Jobs, nella sua famosa lectio magistrale a Stanford, invitava gli innovatori a rimanere hungry e foolish, pochi hanno sottolineato che la foolishness di cui parlava il patron della Apple aveva cavalcato l’onda delle innovazioni finanziate e dirette dal settore pubblico.
Investimenti tanto radicali, che comportavano un elevatissimo livello di incertezza, non sono avvenuti grazie a venture capitalists o inventori da garage. È stata la mano invisibile dello Stato che ha dato corpo a queste innovazioni. Innovazioni che non ci sarebbero se avessimo dovuto aspettare che ci pensassero il mercato o le imprese. Del resto, il Paese che spesso viene portato a esempio dei benefici del sistema di libero mercato – gli Usa- abbia uno dei governi più interventisti del mondo quando si parla di innovazione”.
Ecco perché per noi è una mission far sì che il sistema pubblico torni all’altezza del proprio ruolo: il bene comune, che oggi vuol dire fare innovazione, e quindi sviluppo.