Città metropolitane, smart cities: solo slogan se non ripartiamo da “pubblico”

slide1Città smart, metropolitane, a impatto sociale: tutte definizioni bellissime, ma con il rischio di diventare vuote, retoriche, come le tante che, in Italia, sono state sciupate, consumate, semplicemente perché a quelle parole non sono seguito fatti.

Per questo c’è sfiducia da parte della gente, che giustamente chiede azioni.

Serve il coraggio, invece, di fare una proposta controcorrente: ripartiamo dalle parole, ridiamo loro significato, riappropriamoci dei loro valori. Il fare fine  stesso è dannoso. Perché prima delle azioni devono esserci le parole, che stabiliscono dei valori, indicano una direzione.

E la prima parola da cui ripartire è “pubblico”.

Oggi la parola pubblico ha perso ogni connotato positivo, diventando sinonimo di spreco, inefficienza, corruzione. Eppure, nessuna innovazione sarà mai possibile senza il “pubblico”.

Il pubblico non può essere sostituito dal privato. Innanzitutto perché l’interesse che persegue è, appunto, privato, e non pubblico, e poi perché anch’esso non è esente da corruzioni e scandali, sia in ambito profit che no profit.

Dunque, la prima parola di cui riappropriarci non è smart o innovazione, ma pubblico: un Comune, una Regione, prima ancora di essere smart devono saper essere pubblici, cioè soggetti che perseguono il bene comune. Può sembrare banale, scontato, ma non è così: serve ripartire dall’abc prima di tentare progetti altisonanti.

Del resto, non è un caso che la Banca Mondiale abbia un settore dedicato a questo, al rafforzamento delle istituzioni pubbliche: esso è lo strumento principale di prevenzione della corruzione.

Come si fa per ridare alla parola pubblico il suo significato?

Innanzitutto, coinvolgendo cittadini, imprese e gli altri stakeholders del pubblico.

Spesso ci dimentichiamo di essere non solo utenti del pubblico, ma anche azionisti, visto che finanziamo ogni attività pubblica con il pagamento di tasse e imposte.

Allora, abbiamo il diritto di sapere come lavora un Comune o una Regione, il nostro Comune, la nostra Regione. Questo significaaccountability.

Per essere accountable serve trasparenza. Anche questa però è una parola abusata, perché ridotta a mero adempimento e non ad occasione di miglioramento: il risultato è che oggi siamo inondati di dati, che però sono non omogenei, non aggiornati, non comparabili e quindi spesso non utilizzabili.

La trasparenza, invece, non deve essere fine a se stessa, bensì uno strumento necessario per la valutazione del pubblico. A me cittadino non serve sapere solo quanto ha speso il mio Comune, ma anche e soprattutto come ha speso e per cosa: anche un euro non speso per il bene comune è uno spreco da tagliare.

La valutazione è una modalità smart, realmente innovativa, per migliorare il pubblico e siccome a valutare devono essere cittadini e imprese, Fondazione Etica ha creato uno strumento che consente ai cittadini di farlo: il Rating Pubblico. A cosa serve? Non a dare pagelle, ma a far spendere meglio il nostro denaro: in questo è strumento concreto di innovazione sociale.

Come utenti e come azionisti, dobbiamo pretendere che le risorse pubbliche siano impiegate laddove vengono meglio utilizzate e tagliate laddove – Comuni, Regioni, Ministeri – vengono sprecate.

Il Rating è anche strumento di inclusione sociale, perché coinvolge fattivamente i cittadini. Una delle tante parole che abbiamo sprecato, infatti, èpartecipazione. Siamo tutti stanchi di essere chiamati a partecipare passivamente, ad esempio flaggando faccine verdi o rosse sui servizi pubblici.

Il Rating, invece, consente una partecipazione più matura, non emotiva, perché chiede ai cittadini di raccogliere e inviare documenti, immagini, video, su quanto accade loro quotidianamente nel contatto con il pubblico. Dunque, uno strumento inclusivo, che potremmo chiamare il Tripadvisor delle PA.